Antonella. Caro segretario, come succede ogni anno sulla legge di bilancio si accendono le discussioni e si infiammano gli animi. Il confronto tra le organizzazioni sindacali CGIL, CISL, UIL e il Governo non è stato positivo e il Consiglio dei Ministri ha già approvato una legge di bilancio di 30 miliardi senza aprire un vero confronto con le parti sociali.
Spesso dichiari che i tavoli tecnici sono importanti, ma rispetto al confronto con il Governo serve fare un salto di qualità, e cioè dobbiamo “guadagnarci” una volta per tutte il diritto ad essere interlocutori con cui aprire il confronto preventivo sulle scelte da compiere e sulle riforme fondamentali che interessano il nostro Paese. Cosa deve fare il sindacato per ottenere questo diritto in modo strutturale? Approvare finalmente una legge sulla rappresentanza (come prevede la Costituzione) pensi possa aiutare in questo senso?
Ivan. Siamo di fronte ad un passaggio decisivo per il nostro futuro.
L’emergenza sanitaria non è ancora superata, l’inverno è ormai alle porte e non sappiamo quali scenari si apriranno. Il tema di una legge sulla rappresentanza c’è e noi la richiediamo da tempo. Sappiamo che non è facile portarla a casa e che nel frattempo ci sono oltre 250 miliardi di euro in arrivo dall’Europa, che dovrebbero portarci fuori da una crisi spaventosa e aiutarci a ricostruire il paese.
Bisogna sanare le ferite, ricucire le fratture, dare risposte ad un disagio economico e sociale che ha investito larga parte della nostra comunità. Per farlo è assolutamente indispensabile aprire un confronto con le organizzazioni che rappresentano milioni e milioni di persone, lavoratrici e lavoratori, pensionate e pensionati, giovani. La richiesta di un confronto preventivo da parte dei sindacati non è velleitaria e solo un problema di metodo. Significa riconoscere il peso di una rappresentanza importante, che in questi anni i diversi governi che si sono succeduti hanno sostanzialmente ignorato.
Stupisce come anche questo governo, chiamato ad affrontare l’emergenza in nome dell’unità nazionale, abbia deciso di intraprendere ancora una volta una strada sbagliata, quella dell’uomo solo al comando.
Stupisce come un uomo della caratura di Mario Draghi, stimato a livello nazionale e mondiale, di fronte alle nostre richieste di riforma si sia infastidito e abbia abbandonato stizzito il tavolo del confronto. Non si fa mai, non si governa così un passaggio tanto cruciale per il nostro paese. Aveva detto che era arrivato il momento di dare soldi, non di chiederli. Eppure la manovra economica non risponde alle grandi criticità del nostro paese sul lavoro, sulle pensioni, sul welfare. I dossier più delicati vengono rimandati in nome di una ‘pax politica’ che risponde solo a logiche di partito e non ai reali bisogni degli italiani.
A. Come Segretario Generale dello SPI, il sindacato pensionati della CGIL, è da tempo che dichiari che le relazioni sindacali non vanno per niente bene e che il Governo non ci ascolta. Abbiamo bisogno di garantire l’unità dell’azione sindacale di lavoratori e pensionati da un lato, ma anche di mobilitare il nostro popolo per ottenere qualche risultato significativo. Probabilmente nei prossimi giorni si svolgeranno delle iniziative di mobilitazione, speriamo unitarie… Che cosa ne pensi?
I. Ho sempre sostenuto che il sindacato debba tenere insieme una visione riformista ma allo stesso tempo anche una capacità di mobilitazione. Nel recente passato mobilitarci ci è servito a portare a casa dei risultati importanti.
Se lo ricordano in pochi ma nel 2016, a seguito di una grande manifestazione unitaria dei pensionati, il governo dell’epoca fu costretto ad aprire un confronto con noi sulle pensioni.
Ci furono delle vere e proprie trattative, che durarono dei mesi e che portarono ad un accordo. Riuscimmo così ad apportare delle prime e sostanziali modifiche alla legge Fornero, ci inventammo quell’Ape sociale che oggi tutti dicono di voler rafforzare e il riconoscimento dei lavori usuranti e gravosi. Portammo a casa anche un importante risultato sui redditi da pensione, con l’estensione e il rafforzamento della 14esima.
Furono dei risultati tangibili, frutto della mobilitazione e della volontà del sindacato di ricercare delle soluzioni contrattandole col governo.
Oggi abbiamo la necessità di riunire il nostro popolo e di chiamarlo alla lotta per mettere in discussione le scelte del governo. Prima di farlo è però necessario andare dai lavoratori, spiegargli le nostre ragioni, discutere con loro anche aspramente se necessario. Non lo facciamo da troppo tempo e bisogna tornare a farlo. La mobilitazione deve partire da lì, nascere nel territorio e dal rapporto diretto con le persone che rappresentiamo.
La mobilitazione può e deve crescere fino a diventare nazionale qualora il governo non dovesse darci le risposte che chiediamo e se non dovesse aprire alcun confronto con noi.